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al testo di Marco Armando Ribani
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Archeologia poetica
I Nel bosco il fogliame crea una pozza e a strati le foglie sulle foglie trattengono meste e raggrinzite l’acqua al suolo. Sotto di loro altri strati di decomposizione si dividono in substrati misti a fango e microbi e batteri e minuscoli animali portano memorie di muri e scavi e ceneri azotate dagli incendi e forse grida acutissime cucite nella gola. Oh! quanta vita c’é dentro la morte!!
II
Tutto è ora coperto ma da chi e da cosa? Il tempo è passato in verticale e tutto cio’ che si piega scopre un angelo o un demone in ogni azione umana Viene un futuro magro e vuoto senza più speranza lasciando profe-scie di scheletri eroi e sciacalli un humus di innocenza si profila ma le cellule del dolore dove sono? lontane o vicine a quelle della gioia? e dove sono gli strati del rancore? forse la comparsa del tempo è già scomparsa? e allora noi?
III
dal silenzio in schiere oscure e soffici intravedo un tempo senza più futuro né passato e io percorro gli alberi e abbandono questa pianura cosi piatta dl pensiero e mi inabisso dentro terra d’acqua altre larve stanno e tutte senza occhi ma tutte con una gracile certezza che dallo spazio azzurro e verticale viene vita. Un cielo d’occhi in alto là mi attende e poi un sorriso al centro di quel volto. Non parla per parole ma fruscii di foglie e rami mai cosi felici e un vento gentilissimo percorre questo vestito vecchio che diciamo Pelle.
IV
Dunque in questa nuova vita io parlo una lingua generale un grande insieme indivisibile per astri, piante, uomini e animali Dunque ci sono parole chiare oggi qui davanti a noi sono venute con tutta la forza necessaria a penetrare il nostro tempo spazio di antenati poichè le giovani parole sono nostre figlie e ci guardano da dietro partorendo furtive nuove storie
V
Dunque ho constatato la mia morte quella che chiamano il passaggio a miglior vita ma mi vedo ancora qui sul fiume trascorrere antichi istanti di bellezza e viene dalla radura dei salici giganti il suono originario che ci lega e ci allontana Qui io sono in un corpo di magia che chiama e ascolta il mormorio del mondo e lo trasforma in invisibili segnali per le stelle
VI
E’ venuto questo nuovo antico mondo con il suono del tamburo e della gioia e la potente melodia di una rientranza Quanta potatura dei ricordi c’é da fare come se la memoria fosse un tronco senza braccia. Eppure con i piedi pesto l’universo. Mentre sono lo sciamano di me stesso e scandisco con ossa cimbali e caviglie un battito cardiaco che canta .
VII
Per adesso é tutto quello che sappiamo Una manciata di particelle elementari che vibrano che fluttuano in bilico fra esistere e non esistere. Ci sono anche se sembrano non esserci. Si sposano divorziano fuggono lontano. Appaiono in più luoghi allo stesso tempo. Hanno un loro alfabeto luminoso per raccontare cio’ che c’é d’immenso nella storia delle galassie delle stelle i nnumerevoli e fugaci. Ma anche delle montagne dei campi di grano dei sorrisi dei ragazzi alle feste e di quel cielo nero che protegge l’intimità della notte.
*Liberamente tratto e messo in versi da: “Sette brevi lezioni di fisica” di Carlo Rovelli |
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